Andrej Mikhalkov-Konchalovskij  è un regista di rilievo nel panorama russo e internazionale che si distingue da oltre mezzo secolo per la particolarità di stile e visione.

Nasce nel 1937 da genitori scrittori (il padre è autore del testo dell’inno nazionale russo), si iscrive appena ventenne al conservatorio della città per studiare pianoforte e quattro anni più tardi inizia i suoi studi di cinema presso la scuola VGIK, diretta allora da Michail Romm, maestro ben allineato alle direttive del cinema di propaganda comunista. Qui dirige il suo primo cortometraggio e stringe un solido rapporto di collaborazione con Tarkovskij, per il quale scrive la sceneggiatura del masterpiece Andrej Ruble  e col quale condivide un insieme di simboli che permeano le sue opere, primo fra tutti l’autorità tipicamente incarnata dalla figura paterna.

Nei suoi lavori emerge il punto di vista distaccato e disincantato con cui viene osservata la realtà e le mutazioni politiche, a partire dal primo lungometraggio del 1965, Il primo maestro, nel quale un insegnante apostolo della rivoluzione non riesce nella missione di scardinare le plurisecolari tradizioni feudali di una comunità di montagna.

Ben lontano dal cinema di propaganda è anche La storia di Asja Kljacina che amò senza sposarsi, una narrazione delle relazioni umane all’ interno di un kolchoz che subisce un lunga censura in madrepatria. Il regista traspone su schermo due classici della letteratura russa con Nido di gentiluomini e Zio Vanja ma è con l’epopea Siberiade, nel ‘79, che compie una svolta tecnica e stilistica, avvalendosi di una fotografia naturalistica, un’ampia post-produzione e piani sequenza per raccontare sessant’anni di storia dell’Unione Sovietica, volgendo il proprio focus sul villaggio siberiano di Elan, sconvolto prima dalla guerra e poi dalla scoperta di giacimenti petroliferi.

Maria’s Lovers del 1984 segna l’inizio del suo trasferimento ad Hollywood così come il successo a livello internazionale, confermato dal capolavoro A trenta secondi dalla fine che vede Jon Voight protagonista di un soggetto inedito di Kurosawa ed interprete di una metafora esistenziale dell’uomo prigioniero del destino in mezzo ad una terra ostile. Il regista torna in Russia e conferma il proprio stile essenziale ne Il proiezionista nel 1991, la storia vera di Aleksander Ganšin, un dipendente del KGB che fu assunto da Stalin in persona per svolgere la funzione di suo proiezionista privato al Cremlino.

Gli ultimi due decenni sono costellati da importanti riconoscimenti: la Mostra del Cinema di Venezia gli assegna il Leone d’argento alla regia per La casa dei matti e per i più recenti Le notti bianche del postino (2014) e Paradiso (2016), lavori che segnano un nuovo periodo della sua attività creativa. L’ultimo film citato narra di tre storie incrociate durante la Seconda Guerra Mondiale, dove Konchalovskij utilizza il formato 4:3 ed il bianco e nero per rendere al meglio “il dolore e la violenza dello spirito dell’uomo, che spesso si lascia sedurre dalla veste elegante del male” .

A più di ottantanni,  Andrej Mikhalkov-Konchalovskij appare in perfetta forma e non smette di sorprendere: a fine 2017 si sono concluse tra la Versilia e Carrara le riprese de “Il peccato. Una visione”, incentrato su alcuni episodi della vita di Michelangelo.